Onorevoli Colleghi! - La normativa urbanistica del nostro Paese è legata ad una legge che è nata prima della nostra Carta costituzionale. Una legge che il legislatore ha dovuto adattare ai profondi cambiamenti sociali, territoriali e produttivi del nostro Paese. La legge n. 1150 del 1942 è una buona legge, ma non dobbiamo dimenticare che ha visto la luce quando il nostro Paese non solo era governato da una dittatura, ma viveva una fase economica con caratteristiche profondamente differenti da quelle attuali. Ciò nonostante il quadro normativo realizzato rappresentava un rigoroso punto di riferimento e solo la complessità della situazione che si è determinata pochi anni dopo ne ha reso pressoché impossibile il rispetto. Siamo infatti tutti consapevoli di come, poco dopo i primi difficili anni dell'immediato dopoguerra, in Italia ci siano stati un notevole incremento demografico e una forte crescita economica, che hanno avuto inevitabili conseguenze sull'utilizzazione del territorio.
      L'espansione dei centri abitati è stata intensa e disordinata, le infrastrutture sono state realizzate in assenza di una vera e propria programmazione e molti insediamenti abitativi sono sorti in modo spontaneo e incontrollato. Le conseguenze sul territorio sono state a dir poco devastanti e altrettanto gravi sono stati i danni sotto l'aspetto sociale, con la creazione di quartieri ghetto, invivibili e privi dei servizi essenziali, nelle grandi città e con la distribuzione di edifici di ogni genere nelle zone extraurbane, con una conseguente crescita della domanda di mobilità diffusa, alla quale si è potuto dare risposta solo attraverso un aumento esponenziale delle infrastrutture viarie e dell'uso del mezzo privato. In molti casi non è stato possibile correggere alcune distorsioni. E in molti altri casi sarà difficile farlo in futuro. Le leggi successive alla citata legge n. 1150

 

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del 1942 in materia urbanistica ed edilizia hanno cercato in parte di governare i fenomeni - in particolare quello dell'abusivismo, che ha letteralmente trasformato il nostro territorio - in parte di sfruttarne il potenziale gettito finanziario - ma si è visto che i costi reali (comprensivi quindi anche dei costi sociali) sono sempre e comunque di gran lunga superiori alle entrate. In ogni caso tali leggi hanno cercato di adeguare il quadro normativo alle crescenti esigenze di una nuova e diversa qualità urbana e dell'abitare. Si sono così succeduti, a volte anche in modo un po' confuso, leggi e provvedimenti fino a giungere all'emanazione del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, che è ormai stato superato, di fatto, dall'approvazione delle modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, che hanno trasformato l'assetto delle nostre istituzioni in senso federalista, trasferendo in parte le competenze in materia urbanistica alle regioni.
      L'obiettivo della presente proposta di legge diventa quindi quello di costruire un impianto normativo che contenga dei princìpi chiari, condivisi e irrinunciabili in materia di governo del territorio, che devono costituire il quadro di riferimento per le singole normative regionali. È evidente che c'è bisogno della massima omogeneità dei princìpi più importanti, per evitare che vi siano ingiustificate differenze tra le regioni, tenendo conto che, già in passato, abbiamo visto come il fenomeno delle violazioni in materia urbanistica ed edilizia sia marcatamente «territoriale» e che vi sono regioni che pagano un prezzo più alto in termini di consumo di territorio all'abusivismo edilizio.
      La presente proposta di legge parla di «pianificazione del territorio», laddove sarebbe stato auspicabile un provvedimento sul «governo del territorio». Alla luce della citata riforma costituzionale del 2001 non è però oggi possibile parlare di «governo del territorio». Al novellato articolo 117, terzo comma, della Costituzione, infatti, il governo del territorio è elencato «insieme» ad alcune materie che sono invece logicamente comprese in quel concetto, quali, ad esempio, i porti e aeroporti civili e le grandi reti di trasporto e di navigazione. Il dettato costituzionale, quindi, non definisce strutture gerarchiche in cui il governo del territorio è il più complessivo contenitore, ma si limita ad un'elencazione omogenea e vincolante.
      Ne consegue che si è scelto consapevolmente di parlare di pianificazione, con il desiderio che questa legislatura ci possa portare all'auspicato superamento della visione economicistica delle città e del territorio dominante in questi ultimi anni e al superamento della contrapposizione tra urbanistica e governo del territorio.
      Il principio cardine della presente proposta di legge è quello di limitare al massimo il consumo di suolo. Alcune regioni hanno inserito nelle proprie leggi in materia articoli che tentano di fermare il dilagare dell'urbanizzazione. Altre pongono, con il piano paesistico, un concreto argine alla dissipazione del territorio costiero. Non è però un compito che può essere lasciato alle regioni: è ruolo specifico dello Stato assumere come principio generale valido su tutto il territorio quello del risparmio di una risorsa ormai rara, ovvero del territorio. Alle regioni spetterà la specifica competenza di dare concreta attuazione a quel principio, definendone le modalità di applicazione e le procedure.
      La presente proposta di legge afferma, al comma 1 dell'articolo 3, che «Il territorio e le risorse naturali (...) sono beni comuni. Le istituzioni pubbliche ne sono le custodi e le garanti nell'ambito delle specifiche competenze». Il territorio è dunque un bene comune e spetta allo Stato promuovere politiche di indirizzo per il suo uso. All'articolo 10, comma 1, si afferma che «Nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti esclusivamente qualora non sussistano alternative per il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti». Il perseguimento dell'obiettivo di risparmiare suolo agricolo è poi completato dall'articolo 14, in cui si propone che il territorio non urbanizzato
 

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sia inserito all'interno delle categorie di beni vincolati dalla cosiddetta «legge Galasso» (attualmente dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004).
      Perseguire l'obiettivo del risparmio di suolo è un modo per rendere l'Italia uguale a tutti gli altri Paesi europei che attuano da anni - e in alcuni casi sotto la guida di governi conservatori - politiche di contenimento della diffusione urbana. La prospettiva che questi Paesi stanno aprendo è quella della riutilizzazione dell'enorme patrimonio già realizzato, della sua riorganizzazione e dell'evoluzione della dotazione tecnologica in coerenza con la più generale necessità di risparmio energetico. Le città e il territorio dell'Europa stanno diventando il campo su cui si misurano le capacità dei singoli Paesi di saper costruire un futuro sostenibile.
      Mentre l'Europa si interroga sul futuro scommettendo sul riuso e sull'evoluzione tecnologica, l'Italia esce da cinque anni di elevatissima crescita del comparto delle nuove costruzioni, favorita dalle politiche dei condoni, dalla limitazione dell'efficacia delle tutele e dal forte indebolimento di ogni regola urbanistica. Se negli altri Stati si costruiscono regole nuove, in Italia è stata penalizzata la pianificazione del territorio e delle città. Se negli altri Paesi si guarda lontano, da noi è stata premiata la rendita immobiliare.
      Questo processo ha radici lontane. Inizia con le sperimentazioni da parte dell'allora Ministero dei lavori pubblici, che dal 1992 - con i programmi complessi e con l'automatismo della variante urbanistica ottenuto con l'accordo di programma - hanno creato un doppio binario nella prassi urbanistica. E in quindici anni il meccanismo è stato continuamente perfezionato: oggi la pianificazione è sempre più spesso sostituita dalla contrattazione con la proprietà immobiliare.
      Gli anni trascorsi permettono di poter valutare con oggettività gli effetti della «deregulation». Le nostre città hanno peggiorato le loro condizioni di vita e di funzionamento. Non poteva essere altrimenti: una sommatoria di interventi slegati da qualsiasi visione d'insieme non può produrre città più vivibili. Né si può ottenere una città migliore assumendo come motore la valorizzazione della rendita immobiliare. La salvezza delle città è dunque legata al recupero del concetto di governo pubblico del territorio. Solo così si può comprimere la rendita. Solo così potremo colmare il ritardo che si è prodotto con gli altri Paesi industrializzati e che rischia di renderci sempre più marginali nella capacità di migliorare il funzionamento delle città.
      La presente proposta di legge riafferma due fondamentali princìpi dell'urbanistica classica. La titolarità della pianificazione compete esclusivamente alle istituzioni pubbliche (articolo 2). Tale titolarità si esercita attraverso atti di pianificazione (articolo 3). Occorre tornare ai princìpi del pensiero liberale, e la prevalenza degli interessi pubblici su quelli particolari, elemento costitutivo del liberalismo, è alla base della nostra Costituzione.
      L'affermazione di quest'ultimo principio non è però sufficiente. Non si possono chiudere gli occhi sul fatto che l'urbanistica utilizza oggi ampiamente lo strumento dell'accordo di programma. Così i due princìpi sono completati con un'ulteriore precisazione (articolo 7, comma 2) in cui si afferma che «Gli accordi di programma sono stipulati in conformità alle prescrizioni della pianificazione ordinaria, specialistica e settoriale vigente».
      La presente proposta di legge, poi, ribadisce e arricchisce i princìpi cui deve essere soggetta la pianificazione urbanistica. In primo luogo, il «diritto alla città e all'abitare». Si propone non soltanto di confermare la storica conquista degli standard urbanistici, cioè di una dotazione minima di spazi pubblici garantita a ogni cittadino ovunque risieda, diritto che una proposta di legge presentata nella scorsa legislatura voleva cancellare. Si pensa che sia maturo il tempo per affermare i diritti al godimento di un'abitazione; alla mobilità e all'accessibilità; all'uso delle risorse territoriali.
      Sul tema della mobilità urbana, poi, si misurerà la capacità di affrontare la sfida
 

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tecnologica. L'aria delle città è avvelenata e occorre ripensare in modo sistematico le modalità di spostamento collettive, così da riportare ai valori minimi i livelli di inquinamento atmosferico e acustico.
      Diritti antichi e nuovi cui la pianificazione urbanistica non può provvedere da sola, ma di cui è il presupposto essenziale. Nuovi bisogni e nuovi soggetti sociali animano le città. Gli strumenti classici dell'intervento pubblico a favore dei ceti popolari sono spesso inservibili. È dunque necessario che l'insieme delle amministrazioni pubbliche operi concordemente al fine di definire strumenti e modalità operativi, per costruire città più giuste e vivibili.
      Il secondo principio riguarda la partecipazione sociale alle scelte del governo del territorio. È un tema più generale, poiché riguarda i problemi stessi dell'esercizio della democrazia. E le scelte di sviluppo del territorio e delle città, per il loro carattere «statutario», rappresentano uno dei campi fondamentali in cui deve essere perseguita la più ampia partecipazione sociale.
      Presupposti della partecipazione sono la conoscenza della realtà e la trasparenza del processo delle decisioni. Occorre quindi che vengano costruiti e resi accessibili a tutti i più ampi ed efficaci sistemi conoscitivi del territorio e delle città, in modo da consentire scelte basate sulla realtà dello stato di fatto, confrontabili nelle alternative e verificabili nella fase di realizzazione.
      A tale fine, nella presente proposta di legge è stato introdotto anche il recepimento della normativa europea in materia di valutazione ambientale strategica per la parte attinente i procedimenti di formazione e i contenuti della pianificazione. L'articolo 1 prevede il formale recepimento della direttiva 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 giugno 2001, che, pur essendo il relativo termine già scaduto, non è ancora stata resa esecutiva dall'Italia.
      Il terzo principio innovativo riguarda, infine, l'individuazione di un'ulteriore categoria di beni da sottoporre alla tutela: quella dei centri e degli insediamenti storici che rappresentano, con il paesaggio, l'identità culturale del nostro Paese. L'insieme dei tessuti storici viene sottoposto a tutela all'interno degli strumenti di pianificazione, individuandoli d'intesa con le competenti strutture dello Stato preposte alla tutela degli stessi beni.
      All'articolo 8, inoltre, viene introdotto il principio di legalità. Come è noto il nostro Paese ha subìto tre condoni edilizi, ingenerando la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione senza avere le autorizzazioni di legge. È indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare trasparenza e rigore su tutti gli interventi che trasformano il territorio e il paesaggio.
      Nel capo IV della presente proposta di legge, dedicato agli strumenti e alle procedure della pianificazione, si affrontano, infine, temi maggiormente disciplinari. È utile in questa sede ricordare soltanto due punti che per la loro rilevanza sono stati in questi anni al centro di un confronto aspro. Il primo è relativo alla distinzione del piano in due componenti, strutturale e programmatica. Si è volutamente omesso di inserirla tra i princìpi obbligatori, poiché sono ormai quindici anni che ciascuna regione, sulla base delle proprie tradizione e cultura, ha legiferato in materia. Si resta convinti che la modalità di redazione della pianificazione sia esclusiva competenza regionale. Il secondo punto riguarda la questione dell'efficacia dei vincoli espropriativi. All'articolo 16 viene precisato che i beni destinati dagli strumenti urbanistici all'acquisizione attraverso l'esproprio devono essere indennizzati entro il termine perentorio di dieci anni.
      Nel dettaglio, la presente proposta di legge afferma, agli articoli 1 e 2, i princìpi relativi alla pianificazione del territorio nonché la titolarità pubblica di questa importante funzione. Con gli articoli 3 e 4 sono enunciati i princìpi che stabiliscono l'importanza della tutela del territorio, delle risorse naturali, del diritto all'ambiente e alla biodiversità, nonché della tutela delle risorse idriche. Con l'articolo 5 si stabilisce la correlazione tra una corretta
 

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pianificazione e la garanzia della qualità urbanistica e della qualità della vita e dell'abitare delle persone. L'articolo 6 prevede la predisposizione di appositi strumenti di partecipazione dei cittadini alle scelte in materia urbanistica. L'articolo 7 asserisce l'importanza che la pianificazione trovi un percorso unitario. L'articolo 8 affronta il delicato problema del rispetto della legalità del territorio individuando strumenti e azioni per garantire il rispetto degli strumenti urbanistici. Con gli articoli 9, 10 e 11 sono specificate le finalità della pianificazione ed è sottolineata la necessità di contenere l'uso del suolo e di tutelare gli insediamenti storici da espansioni edilizie che potrebbero comprometterne l'identità. L'articolo 12 detta le linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale. Con gli articoli 13 e 14 si adegua, da un lato, la normativa nazionale a quella comunitaria, attraverso il recepimento della citata direttiva 2001/42/CE, e, dall'altro, sono apportate modifiche al menzionato codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004. Gli articoli 15 e 16 intervengono sul sistema vincolistico, contemplando sia le norme relative alla tutela, sia le norme relative agli espropri. L'articolo 17 riprende i princìpi che hanno introdotto, con la legge n. 10 del 1977 (successivamente abrogata), l'onerosità delle trasformazioni urbanistiche. Gli articoli 18, 19 e 20 intervengono sulla pianificazione urbanistica, articolata secondo criteri e livelli di intervento, sulla sua attuazione e ribadiscono il ricorso agli strumenti partecipativi. L'articolo 21 disciplina le procedure di valutazione ambientale, tenendo conto del quadro comunitario. Con gli articoli 22 e 23 è istituita la carta unica del territorio e sono rivisti le funzioni e gli obiettivi del sistema informativo territoriale. Con l'articolo 24, infine, sono individuate le risorse economiche necessarie per l'attuazione della legge.
 

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